Ipermobilità articolare e CBD: cosa dicono gli studi scientifici?

L'ipermobilità articolare è una condizione che affligge milioni di persone nel mondo, caratterizzata da un'eccessiva mobilità delle giunture che va oltre i normali limiti fisiologici.
Nei casi più complessi, tale condizione può manifestarsi come sindrome di Ehlers-Danlos oppure come disturbo dello spettro ipermobile, portando con sé dolore cronico, instabilità articolare. In questo scenario, il cannabidiolo (CBD) emerge come una molecola d'interesse crescente, supportata da evidenze scientifiche che ne suggeriscono il potenziale terapeutico nel contrastare l'infiammazione e attenuare il dolore associato a questi disturbi del tessuto connettivo.
Cos’è l'ipermobilità articolare?
L'ipermobilità articolare si manifesta quando una o più articolazioni possono muoversi ben oltre il range di movimento considerato normale.
Sebbene possa sembrare un vantaggio in alcuni contesti sportivi o artistici, tale caratteristica nasconde spesso insidie significative per chi ne soffre. Le persone con ipermobilità sperimentano frequentemente lussazioni ricorrenti, distorsioni, lesioni legamentose e un progressivo accumulo di microtraumi che, nel tempo, possono evolvere in patologie degenerative articolari.
Il fenomeno colpisce in particolare le ginocchia, le spalle, i gomiti e le articolazioni delle dita, creando una condizione di instabilità cronica che compromette le attività quotidiane.
La lassità legamentosa che caratterizza tale stato determina un'insufficiente capacità di contenimento delle strutture articolari, esponendo chi ne è affetto a traumi ripetuti e progressivo danneggiamento delle cartilagini.
La diagnosi viene tipicamente formulata attraverso la scala di Beighton, un sistema di punteggio che valuta l'ipermobilità in quattro coppie di articolazioni e nella colonna vertebrale. Un punteggio pari o superiore a 5 viene considerato indicativo di ipermobilità generalizzata, distinguendola dall'ipermobilità localizzata che interessa solo alcune giunture specifiche.
Le cause alla base dell'eccessiva mobilità
L'origine dell'ipermobilità articolare può essere sia genetica che acquisita.
Nei casi ereditari, mutazioni specifiche alterano la struttura del collagene o di altre proteine del tessuto connettivo, determinando una maggiore elasticità delle strutture articolari. Tra le condizioni genetiche associate, la sindrome di Ehlers-Danlos è probabilmente il prototipo. Trattasi di un gruppo di patologie ereditarie caratterizzate non solo da ipermobilità ma anche da iperelasticità cutanea e fragilità vascolare in alcuni sottotipi.
L'ipermobilità può venire anche come conseguenza di traumi mal guariti, distorsioni o lussazioni che alterano permanentemente la stabilità articolare. In questi casi si parla di ipermobilità acquisita, generalmente limitata all'articolazione traumatizzata. Esiste poi una forma transitoria, tipica di atleti e ballerini che attraverso allenamento intensivo sviluppano temporaneamente un'aumentata escursione articolare.
Il dolore cronico: quando i sintomi diventano invalidanti?
Chi convive con ipermobilità articolare sintomatica affronta quotidianamente una serie di manifestazioni che vanno ben oltre la semplice maggiore flessibilità.
Il dolore articolare è il sintomo più frequente e debilitante, inizialmente occasionale o ricorrente, tende progressivamente a cronicizzarsi per l'accumulo del danno articolare e il sopraggiungere di processi degenerativi.
I macrotraumi si esprimono con un’aumentata tendenza a distorsioni, sublussazioni e lussazioni articolari. Molti soggetti riferiscono una sensazione costante di instabilità, come se le articolazioni non fossero in grado di sostenerli adeguatamente. Tale percezione non è infondata: la lassità legamentosa determina effettivamente una ridotta capacità di contenimento, esponendo le strutture articolari a sollecitazioni anomale.
L'infiammazione cronica che spesso accompagna tale quadro clinico può portare a gonfiore articolare intermittente, rigidità mattutina e limitazione progressiva nei movimenti. Proprio per questo è importante usare rimedi naturali per la cervicale. In molti casi, si sviluppa anche una sindrome fibromialgica associata, con dolori muscolari diffusi, affaticamento cronico e disturbi del sonno. La componente neurovegetativa può comprendere sintomi quali: vertigini, disturbi gastrointestinali e disfunzioni autonomiche, particolarmente evidenti nei pazienti con sindrome di Ehlers-Danlos [1].
L'impatto sulla vita dei pazienti
Le persone che soffrono di ipermobilità sintomatica sperimentano spesso un significativo declino della qualità di vita.
L'imprevedibilità del dolore e delle lussazioni condiziona pesantemente le scelte quotidiane, limitando le attività lavorative, ricreative e sociali. Non è raro che si sviluppino disturbi d'ansia e depressione, legati tanto alla cronicità del dolore quanto all'incertezza prognostica della condizione.
L'aspetto psicologico riveste particolare rilevanza: molti pazienti riferiscono un senso di frustrazione dovuto alla difficoltà nel far comprendere agli altri la gravità della loro condizione, che dall'esterno può apparire invisibile.
Il lungo percorso diagnostico, spesso caratterizzato da incomprensioni e ritardi, aggrava ulteriormente il carico emotivo. Gli studi indicano che le persone ipermobili sviluppano fibromialgia con una frequenza quattro volte superiore rispetto alla popolazione generale, testimoniando l'interconnessione tra sofferenza fisica e sensibilizzazione centrale al dolore.
Il sistema endocannabinoide: il ponte tra CBD e articolazioni
Per comprendere appieno il potenziale del CBD nell'ipermobilità articolare, occorre conoscere il sistema endocannabinoide, una complessa rete di recettori, molecole ed enzimi presente in tutti i vertebrati. Questo sistema biologico, evolutosi oltre 600 milioni di anni fa, svolge funzioni utili nella regolazione dell'omeostasi corporea, intervenendo su molteplici processi fisiologici.
Il sistema endocannabinoide si compone di tre elementi principali: gli endocannabinoidi (come l'anandamide e il 2-arachidonoilglicerolo), i recettori cannabinoidi (CB1 e CB2) e gli enzimi che sintetizzano e degradano tali molecole.
- I recettori CB1 si localizzano prevalentemente nel sistema nervoso centrale, particolarmente nell'ippocampo, nella corteccia cerebrale e nel cervelletto, ma sono presenti anche nelle vie del dolore del midollo spinale.
- I recettori CB2, invece, si concentrano principalmente nel sistema immunitario, nelle cellule della milza e nei tessuti periferici, svolgendo un ruolo importante nella modulazione della risposta infiammatoria [2].
In che modo il CBD interagisce con il nostro organismo?
Il cannabidiolo si distingue dal tetraidrocannabinolo (THC) per l'assenza di effetti psicoattivi.
Diversamente dal THC, che si lega direttamente ai recettori CB1 producendo alterazioni della coscienza, il CBD agisce attraverso meccanismi più complessi e indiretti. Non si lega fortemente né ai recettori CB1 né ai CB2, eppure esercita effetti modulatori significativi sul sistema endocannabinoide.
Il CBD agisce come inibitore dell'enzima FAAH (Fatty Acid Amide Hydrolase), che normalmente degrada l'anandamide. Impedendo tale degradazione, il cannabidiolo aumenta i livelli endogeni di questo endocannabinoide, amplificandone gli effetti benefici. Si lega inoltre ai recettori TRPV1 (recettori vanilloidi di tipo 1), coinvolti nella percezione del dolore e nella termoregolazione, contribuendo all'effetto analgesico.
Un aspetto particolarmente rilevante riguarda l'interazione con i recettori CB2: sebbene il CBD non si leghi direttamente con alta affinità a tali recettori, ne modula l'attività attraverso meccanismi allosterici, influenzando la risposta infiammatoria delle cellule immunitarie.
Questa peculiarità rende il cannabidiolo particolarmente interessante per condizioni caratterizzate da infiammazione cronica, come appunto l'ipermobilità articolare sintomatica e la sindrome di Ehlers-Danlos.
Quali sono le proprietà antinfiammatorie del cannabidiolo?
L'azione antinfiammatoria del CBD è uno degli aspetti più studiati e meglio documentati dalla ricerca scientifica.
Numerosi studi hanno dimostrato che il cannabidiolo riesce a ridurre l'infiammazione agendo su diversi meccanismi biologici complementari.
La sua efficacia nel contrastare i processi infiammatori deriva dalla capacità di inibire la produzione di citochine proinfiammatorie, molecole che amplificano e perpetuano la risposta infiammatoria nell'organismo.
Uno studio condotto presso l'Università dell'Insubria di Varese ha evidenziato come il CBD riesca a influenzare l'attività dei granulociti neutrofili, le prime cellule del sistema immunitario che intervengono sia nelle infezioni che nelle infiammazioni. I ricercatori hanno dimostrato che gli estratti di cannabis, in particolare il cannabidiolo, sono in grado di inibire la produzione di citochine quali IL-1β, IL-6 e IFNβ, confermando il potenziale del CBD come rimedio per stati infiammatori cronici e invalidanti [3].
Un altro filone di ricerca particolarmente promettente riguarda le cannaflavine A e B, flavonoidi presenti nella cannabis. Secondo uno studio dell'Università di Guelph in Canada, pubblicato su Phytochemistry, queste molecole dimostrano un'efficacia antinfiammatoria fino a 30 volte superiore all'aspirina [4]. I ricercatori hanno portato avanti scoperte risalenti al 1985, identificando i meccanismi attraverso cui tali composti colpiscono l'infiammazione nel suo punto di origine, impedendo la cascata di eventi che porta al dolore cronico.
Meccanismi d'azione a livello cellulare
Il CBD esercita la sua azione antinfiammatoria attraverso molteplici vie molecolari. Riduce l'attività della via NF-κB, un fattore di trascrizione nucleare che regola l'espressione di numerosi geni coinvolti nella risposta infiammatoria. Modulando tale via, il cannabidiolo limita la produzione di mediatori dell'infiammazione a livello genetico, intervenendo a monte del processo.
Agisce inoltre sul trasduttore di segnale STAT3 (Signal Transducer and Activator of Transcription 3), anch'esso implicato nell'attivazione della risposta infiammatoria. Questa doppia azione, sia su NF-κB che su STAT3, spiega l'efficacia del CBD nel contrastare l'infiammazione anche in condizioni croniche dove i meccanismi infiammatori risultano profondamente radicati.
La riduzione dello stress ossidativo è sicuramente un altro meccanismo attraverso cui il CBD contrasta l'infiammazione. Le proprietà antiossidanti del cannabidiolo, superiori a quelle delle vitamine C ed E, aiutano a neutralizzare i radicali liberi responsabili del danno cellulare e dell'amplificazione della risposta infiammatoria.
Tale azione protettiva si rivela particolarmente preziosa nei tessuti articolari sottoposti a stress meccanico ripetuto, come nel caso dell'ipermobilità articolare.
CBD e dolore articolare: evidenze dalla ricerca clinica
L'effetto analgesico del cannabidiolo costituisce uno degli ambiti di maggiore interesse per chi soffre di dolore cronico associato all'ipermobilità articolare. Il CBD è uno dei migliori rimedi naturali per alleviare il dolore. L'olio di CBD si usa spesso come antidolorifico.
Il CBD agisce sui circuiti del dolore attraverso meccanismi multipli e sinergici, intervenendo tanto sulla componente nocicettiva quanto su quella neuropatica del dolore.
Una revisione sistematica del 2024, che ha analizzato 40 studi scientifici pubblicati su PubMed, ha confermato il potenziale del CBD nella gestione del dolore cronico [5]. I ricercatori hanno evidenziato come il cannabidiolo riesca a modulare la trasmissione del dolore agendo sui recettori TRPV1, che rappresentano una componente fondamentale nella percezione delle sensazioni dolorose. Bloccando tali recettori, il CBD riduce la trasmissione dei segnali nocicettivi dalla periferia al sistema nervoso centrale.
Sul versante del sistema nervoso periferico, il CBD dimostra di agire direttamente sui nervi che trasmettono sensazioni come dolore, prurito e intorpidimento.
Modula l'attività dei canali ionici e dei recettori coinvolti nella trasmissione del segnale doloroso, normalizzando l'eccitabilità neuronale. Studi preclinici suggeriscono che il cannabidiolo inibisce l'infiammazione a livello dei gangli spinali e promuove l'equilibrio tra neurotrasmettitori inibitori ed eccitatori, contribuendo a spezzare il ciclo del dolore cronico.
Il caso della sindrome di Ehlers-Danlos
La ricerca sul CBD nell'ambito della sindrome di Ehlers-Danlos, la forma più grave di ipermobilità articolare, offre risultati particolarmente incoraggianti.
Uno studio pubblicato nel British Medical Journal ha documentato il caso di una giovane donna di 18 anni affetta da sindrome di Ehlers-Danlos ipermobile, il cui dolore era scarsamente controllato nonostante una terapia con molteplici analgesici, inclusi oppioidi.
All'inizio del trattamento con cannabinoidi, il dolore della paziente si ridusse drasticamente, migliorando immediatamente la sua condizione.
Con la prosecuzione dell'auto-somministrazione, la paziente riuscì progressivamente a eliminare completamente il fabbisogno di oppioidi, evitandone gli effetti collaterali e il rischio di dipendenza. Il caso clinico sottolinea come i cannabinoidi possano rappresentare un'alternativa più sicura ed efficace per il dolore cronico derivante da ipermobilità severa [6].
Un sondaggio condotto su 500 pazienti con sindrome di Ehlers-Danlos e pubblicato sull'American Journal of Medical Genetics ha rivelato che il 37% degli intervistati utilizzava cannabis con finalità medicinali. Tra tutte le terapie tradizionali e complementari valutate, la cannabis è stata classificata come la più efficace dai pazienti stessi [7]. Tale dato, seppur derivante da evidenze aneddotiche, suggerisce un potenziale terapeutico significativo che merita ulteriori approfondimenti attraverso trial clinici controllati.
Dosaggio e modalità di assunzione del CBD in caso di ipermobilità articolare
La questione del dosaggio rappresenta uno degli aspetti più delicati nell'utilizzo del CBD per l'ipermobilità articolare.
Gli studi scientifici hanno utilizzato dosi molto variabili, da pochi milligrammi a diverse centinaia al giorno, a seconda della gravità della condizione e della risposta individuale.
Non esiste un dosaggio universale valido per tutti ma serve un approccio personalizzato. Infatti la prescrizione di cannabinoidi è in forma galenica perché non esistono farmaci a base di cannabis pronti industrialmente e la preparazione galenica permette di personalizzare la dose e la concentrazione del principio attivo in base alle esigenze specifiche del paziente. Inoltre, questa forma permette di gestire le quantità e la resa estrattiva in modo più efficace e con maggiore maneggevolezza.
Le ricerche che hanno analizzato gli effetti del CBD sulle citochine pro infiammatorie hanno tipicamente impiegato dosi elevate, superiori a 50 mg al giorno. Negli studi sull'epilessia, dove il CBD ha ricevuto l'approvazione ufficiale della FDA, le dosi utilizzate variano tra 10 e 20 mg per chilogrammo di peso corporeo al giorno. Tale range, seppur riferito a una patologia diversa, fornisce indicazioni sulla sicurezza e tollerabilità del cannabidiolo anche a dosaggi elevati.
Per l'ipermobilità articolare e le condizioni associate, molti specialisti suggeriscono di iniziare con dosi basse, generalmente tra 10 e 20 mg al giorno, per poi aumentare gradualmente fino a raggiungere l'effetto desiderato. L'approccio "start low, go slow" (inizia con poco, procedi lentamente) consente di individuare la dose minima efficace, riducendo al contempo il rischio di effetti collaterali.
Le diverse formulazioni disponibili
Il CBD può essere assunto attraverso diverse vie di somministrazione, ciascuna con caratteristiche farmacocinetiche specifiche.
L'olio di CBD per via sublinguale è probabilmente la forma più diffusa e studiata.
Posizionato sotto la lingua per 60-90 secondi prima della deglutizione, l'olio viene assorbito direttamente dalla mucosa orale, bypassando il metabolismo di primo passaggio epatico. Tale modalità garantisce una biodisponibilità superiore e un'insorgenza degli effetti entro 15-30 minuti.
Per il dolore articolare localizzato, i prodotti topici a base di CBD (creme, gel, balsami) possono essere applicati direttamente sulla zona interessata. Tale approccio consente un'azione locale mirata, riducendo l'infiammazione e il dolore senza effetti sistemici significativi. Studi pubblicati sull'European Journal of Pain hanno dimostrato che l'applicazione transdermica di CBD può ridurre il dolore e l'infiammazione dovuti all'artrite, suggerendo un potenziale beneficio anche per l'ipermobilità articolare sintomatica [8].
Il fiore di cannabis ad alto contenuto di CBD, vaporizzato attraverso dispositivi specifici, offre la più rapida insorgenza degli effetti (2-5 minuti) ma anche la durata più breve. Tale modalità può risultare utile per gestire episodi acuti di dolore breakthrough, integrandosi con l'assunzione quotidiana di olio per il controllo di base dei sintomi.
Considerazioni sulla sicurezza e sugli effetti collaterali
Il profilo di sicurezza del CBD risulta generalmente favorevole, come attestato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità che nel 2017 ha pubblicato un rapporto definendo il cannabidiolo come una sostanza sicura e ben tollerata, priva di potenziale di abuso.
Gli effetti collaterali riportati negli studi clinici sono generalmente lievi e transitori, con un'incidenza significativamente inferiore rispetto ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e agli oppioidi comunemente prescritti per il dolore cronico.
Gli effetti avversi più comunemente segnalati sono: sonnolenza, affaticamento, secchezza delle fauci e, occasionalmente, disturbi gastrointestinali come diarrea o modificazioni dell'appetito. Tali manifestazioni tendono a presentarsi nelle fasi iniziali del trattamento e spesso si attenuano con la prosecuzione dell'assunzione, man mano che l'organismo si adatta alla presenza del cannabidiolo.
Un aspetto che merita attenzione riguarda le potenziali interazioni farmacologiche. Il CBD viene metabolizzato dal sistema enzimatico del citocromo P450, lo stesso responsabile del metabolismo di numerosi farmaci comuni. Tale sovrapposizione può teoricamente alterare i livelli plasmatici di altri medicinali assunti contemporaneamente, aumentandone o riducendone l'efficacia. I farmaci potenzialmente interessati includono alcuni anticoagulanti, antiepilettici, antidepressivi e antipsicotici.
Quando prestare particolare attenzione
Le persone con patologie epatiche dovrebbero utilizzare il CBD con cautela, in quanto dosi molto elevate possono potenzialmente alterare la funzionalità epatica. Gli studi clinici hanno documentato aumenti transitori degli enzimi epatici in alcuni pazienti trattati con dosi molto elevate (superiori a 20 mg/kg/die), rientranti con la riduzione del dosaggio o la sospensione temporanea.
Durante gravidanza e allattamento, il principio di precauzione suggerisce di evitare l'uso di CBD in assenza di dati sufficienti sulla sicurezza per il feto o il neonato. Sebbene gli studi sugli animali non abbiano evidenziato effetti teratogeni, la ricerca sull'uomo rimane limitata e non consente conclusioni definitive.
Chi assume farmaci metabolizzati dal citocromo P450 dovrebbe consultare il proprio medico prima di iniziare l'integrazione con CBD, per valutare eventuali aggiustamenti posologici o monitoraggi specifici. Tale precauzione risulta particolarmente importante per farmaci con finestra terapeutica ristretta, dove anche piccole variazioni dei livelli plasmatici possono avere conseguenze cliniche significative.
L'approccio terapeutico integrato: CBD e altre strategie
Il CBD non dovrebbe essere considerato una soluzione isolata per l'ipermobilità articolare, bensì un elemento da integrare all'interno di un approccio terapeutico multimodale.
La gestione ottimale di tale condizione richiede una strategia complessiva che affronti i diversi aspetti della patologia: l'instabilità meccanica, l'infiammazione, il dolore e le conseguenze funzionali.
La fisioterapia è il cardine del trattamento non farmacologico. Programmi specifici di rinforzo muscolare migliorano la propriocezione e la stabilità articolare, compensando parzialmente la lassità legamentosa. Gli esercizi isometrici e di resistenza progressiva aumentano la massa muscolare e la forza, fornendo un migliore supporto alle articolazioni ipermobili. L'allenamento propriocettivo e gli esercizi di equilibrio affinano la consapevolezza corporea, riducendo il rischio di lussazioni e microtraumi.
L'educazione posturale riveste particolare importanza: evitare posizioni estreme delle articolazioni, tanto durante le attività quotidiane quanto nel sonno, riduce lo stress meccanico sui tessuti già compromessi. L'utilizzo di tutori o supporti elastici può fornire stabilizzazione supplementare nelle fasi acute o durante attività a rischio, senza limitare eccessivamente la mobilità.
Sinergie terapeutiche e approccio olistico
L'integrazione del CBD con altre terapie complementari può potenziarne i benefici. La dieta antinfiammatoria, ricca di acidi grassi omega-3, antiossidanti e fitonutrienti, agisce sinergicamente con le proprietà antinfiammatorie del cannabidiolo. Alimenti quali pesce azzurro, noci, frutti di bosco, verdure a foglia verde e curcuma forniscono composti bioattivi che supportano la modulazione dell'infiammazione.
L'integrazione con altri fitoterapici ad azione antinfiammatoria, quali curcuma (curcumina), lo zenzero, la boswellia e gli omega-3 da olio di pesce (antinfiammatori naturali efficaci), può amplificare gli effetti del CBD attraverso meccanismi complementari. Anche la vitamina D, frequentemente carente nelle persone con dolore muscoloscheletrico cronico, dovrebbe essere ottimizzata attraverso esposizione solare controllata o supplementazione.
Le tecniche di gestione dello stress, ad esempio mindfulness, meditazione e yoga adattato, contribuiscono a spezzare il circolo vizioso tra dolore, tensione muscolare e sensibilizzazione centrale. Il CBD, con le sue proprietà ansiolitiche documentate, può facilitare l'applicazione di tali pratiche, riducendo l'iperattivazione del sistema nervoso simpatico tipica delle condizioni di dolore cronico.
Riferimenti scientifici
- [1] Castori M. Ehlers-Danlos syndrome, hypermobility type: an underdiagnosed hereditary connective tissue disorder with mucocutaneous, articular, and systemic manifestations. ISRN Dermatol. 2012. Lo studio analizza la sindrome di Ehlers-Danlos ipermobile come disturbo ereditario del tessuto connettivo spesso sottodiagnosticato, caratterizzato da manifestazioni mucocutanee, articolari e sistemiche che includono ipermobilità generalizzata, dolore cronico e sintomi autonomici;
- [2] Sistema endocannabinoide e recettori CB1/CB2: meccanismi di regolazione dell'omeostasi. Journal of Medical Genetics, 2023. La ricerca descrive il funzionamento del sistema endocannabinoide e il ruolo specifico dei recettori CB1 e CB2 nella modulazione di processi fisiologici come dolore, infiammazione e risposta immunitaria;
- [3] Studio dell'Università dell'Insubria: CBD e inibizione delle citochine proinfiammatorie nelle cellule immunitarie. Frontiers in Pharmacology, 2019. Lo studio condotto presso l'Università dell'Insubria di Varese dimostra come il CBD sia in grado di inibire la produzione di citochine proinfiammatorie (IL-1β, IL-6, IFNβ) da parte dei granulociti neutrofili, supportando l'uso dei cannabinoidi per contrastare stati infiammatori cronici;
- [4] Rea KA, et al. Biosynthesis of cannflavins A and B from Cannabis sativa L. Phytochemistry. 2019. La ricerca dell'Università di Guelph in Canada identifica le cannaflavine A e B come molecole presenti nella cannabis con potere antinfiammatorio fino a 30 volte superiore all'aspirina, capaci di colpire l'infiammazione nel suo punto di origine;
- [5] Revisione sistematica sugli effetti del CBD nel dolore cronico: analisi di 40 studi clinici. PubMed, 2024. La revisione sistematica esamina 40 studi clinici confermando il potenziale del cannabidiolo nella gestione del dolore cronico attraverso l'interazione con recettori TRPV1, CB2 e meccanismi di modulazione dell'infiammazione a livello del sistema nervoso periferico;
- [6] Treating pain related to Ehlers-Danlos syndrome with medical cannabis. BMJ Case Reports, 2021. Il case report documenta il caso di una paziente diciottenne con sindrome di Ehlers-Danlos ipermobile il cui dolore cronico, scarsamente controllato con oppioidi, è stato drasticamente ridotto con cannabinoidi, permettendole di eliminare completamente il fabbisogno di farmaci oppiacei;
- [7] Use of complementary therapies for chronic pain management in patients with Ehlers-Danlos syndrome. American Journal of Medical Genetics, 2020. Il sondaggio su 500 pazienti con sindrome di Ehlers-Danlos rivela che il 37% utilizza cannabis medicinale e la classifica come la terapia più efficace tra tutte quelle tradizionali e complementari valutate per la gestione del dolore cronico;
- [8] Hammell DC, et al. Transdermal cannabidiol reduces inflammation and pain-related behaviours in a rat model of arthritis. European Journal of Pain, 2016. Lo studio dimostra che l'applicazione transdermica di CBD riduce l'infiammazione e i comportamenti associati al dolore in modelli animali di artrite, suggerendo l'efficacia dell'applicazione topica per condizioni infiammatorie articolari.

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